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    Macron salva la Francia e l’Europa dall’abisso lepenista

    A cura di:

    Raffaele Liguori

    Memos ha ospitato oggi tre approcci diversi per commentare la vittoria di Macron alle presidenziali francesi. ..Lo storico Adriano Prosperi si è soffermato su un aspetto della festa di ieri sera per Macron al Louvre, a Parigi. La sfilata solitaria del nuovo presidente prima di arrivare sul palco, quella camminata solitaria di Macron sotto le luci dei riflettori e in mezzo ai suoi sostenitori. Poi il discorso del nuovo presidente, con quel “vi proteggerò, combatterò per voi, vi servirò con umiltà” che univa direttamente il capo al suo popolo. «Questo protagonismo del capo – sostiene il professor Prosperi - ha degli aspetti che noi giustamente guardiamo con inquietudine per il nostro passato. Però il protagonismo di chi prende il potere e garantisce che si impegnerà con onore, con la sua forza e la sua intelligenza, per proteggere il suo popolo è un dato positivo. E’ un dato che fa i conti con la crisi verticale dei vecchi partiti, che non più capaci di trasmettere altro che meccanismi spesso corruttivi e distorti. Il problema – conclude Prosperi - è poi il controllo su chi assume questo ruolo, ad esempio l’informazione. Credo, però, che l’interesse per la politica non possa che nascere da questa chiarezza del rapporto tra chi chiede il potere e chi deve rispondere alla sua domanda». Ospite a Memos anche il politologo francese Jean-Yves Dormagen che si addentrato nell’analisi del voto di ieri. «Se si fa un paragone con il 2002, il ballottaggio Chirac-Le Pen padre, si capisce che la situazione oggi è molto differente. C’è stato un voto utile per Macron, ma molto più debole di quanto non fosse stato quello di quindici anni fa per Chirac. Il risultato del Fronte Nazionale è stato abbastanza alto, anche se deludente per loro. Infine c’è stato il rifiuto di scegliere tra l’esponente dell’estrema destra e il candidato del fronte repubblicano: un terzo degli elettori non hanno votato o hanno votato scheda bianca/nulla. Quest’ultimo – sostiene il politologo Dormagen - è un fatto nuovo per la politica francese. Inoltre va detto che Macron è minoritario nella società francese. Al primo turno ha fatto un risultato abbastanza basso, il 24% rispetto al 30% che in genere hanno ottenuto in passato i candidati che arrivano in testa. In più circa la metà dell’elettorato di Macron al primo turno aveva agito nella logica del voto utile, non di adesione al suo programma. Un’adesione bassa che si è ritrovata anche nei risultati di ieri: tra la metà e i due terzi di chi ha votato Macron lo hanno fatto per sconfiggere Marine Le Pen, ma non per adesione al suo programma. Se a questo dato – conclude la sua analisi il politologo francese - sommiamo anche il terzo di elettori astenuti o che hanno votato bianca/nulla allora la candidatura Macron si rivela debole e rappresenta anche l’esaurimento del fronte repubblicano, cioè della convergenza di voti sul candidato opposto a quello del Front National». Infine, Memos ha ospitato anche l’economista Mario Pianta che ha espresso tutti i suoi dubbi sulla capacità di Macron di salvare l’Europa dal declino causato dalle politiche di austerità. «Macron – racconta Pianta - l’abbiamo già conosciuto come banchiere, in perfetta continuità con le politiche neoliberiste. Come ministro dell’economia ha sostenuto le liberalizzazioni, politiche dell’offerta, detassazione, riduzione della spesa pubblica. Si tratta di tutto ciò che è sbagliato e ha portato alla stagnazione, ad una crisi che dura da dieci anni. Nel caso della Francia Macron ha alimentato la deindustrializzazione, la crisi produttiva che ha diviso il paese tra le campagne, dominate da Le Pen, e le città più dinamiche che mantengono un voto centrista o progressista. Non c’è nulla nella sua carriera, nella sua cultura, che possa far pensare che Macron sposterà l’Europa su una direzione diversa dalle traiettorie che hanno causato la crisi attuale».

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    “Mi ricordavo di questo omino con gli occhiali che leggeva degli annunci un po’ strani”, racconta Valerio Finessi, regista di “Walter Valdi, un milanese a Milano”. Finessi descrive in un documentario la figura di Walter Valdi (Nicola Walter Gianni Pinnetti 1930-2003), cantautore e cabarettista della squadra storica del Derby Club di Milano. Prima avvocato e poi attore, è stato diretto da Giorgio Strehler, ha sempre scelto di cantare in dialetto milanese, senza però ottenere il successo di altri suoi compagni di lavoro come Cochi e Renato, Giorgio Gaber, Enzo Jannacci. “E’ stato dimenticato perché la scelta del dialetto meneghino lo ha un po’ isolato” spiega Finessi. Walter Valdi ha scritto brani per il Coro dell’Antoniano, portati in scena allo Zecchino d’Oro e ha recitato in alcuni film di Maurizio Nichetti, Carlo Lizzani, Ermanno Olmi e Luigi Comencini. Ascolta l'intervista di Barbara Sorrentini a Valerio Finessi.

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